Ebbene sì: io, Bergonzini Federica, sono ufficialmente una Montecretina!
No, non significa che dico una montagna di cretinate.
Significa che da febbraio scorso a febbraio dell’anno prossimo sono proprietaria di una micro-casetta nella ridente cittadina di Montecreto, a due passi dal Cimone e sulla via per l’Abetone.
Voi direte: e chissenefrega, ma io sono super contenta di potermi autoproclamare una donna d’Appennino e adesso vi spiego un po’ il perché.



Dovete sapere che fino a qualche tempo fa soffrivo di un terribile virus, il Mima-19.
Il Mima-19 è un disturbo che colpisce prevalentemente la fascia adolescenziale, mietendo ogni anno milioni di vittime grazie alle sue armi più spietate: i Coca e Avana e le piadine allo squacquerone (non che io abbia qualcosa in contrario ai Coca e Avana e alle piadine allo squacquerone). Le sue vittime sono facili da riconoscere; i sintomi iniziano a presentarsi intorno al tredicesimo anno di età. Tutto comincia quando, spenta la tredicesima candelina, diventerà pressoché impossibile convincerle a trascorrere una settimana in campeggio a Sestola con l’Oratorio: il rischio di saltare l’appuntamento con la Notte Rosa, infatti, sarebbe troppo alto. Con l’arrivo della Primavera, inoltre, le sorprenderete controllare morbosamente il calendario nell’intento di organizzare almeno dieci weekend lunghi a Milano Marittima (ignorando il fatto che dieci weekend a Milano Marittima costano l’equivalente di tre mesi a Bali). E non ci sarà verso di convincerle a barattare un fine settimana in Riviera con una passeggiata sul crinale. Nemmeno una scorpacciata di porcini riuscirà a sedurle: i loro pensieri sono troppo annebbiati da pini e stracchini.
Detto ciò, vi chiedo cortesemente un minuto di silenzio per tutte le polente coi fughi a cui ho voltato le spalle in cambio di uno spritz a Mima.
Passato il minuto?
Proseguiamo.
Insomma, fatto sta che a causa di questo maledettissimo virus la mia conoscenza dell’Appennino negli anni è rimasta piuttosto limitata. Sapete, all’epoca non esistevano i tamponi, e semmai venivi tamponat* perché in A14 avevi più gin tonic che benzina.
Con il tempo, per fortuna, sono guarita e adesso ogni volta che imbocco la Fondovalle mi sento come se avessi appena preso un volo per Katmandu. Ammetto di essere stata quasi contenta all’idea di trascorrere un autunno-inverno confinata in regione, così non avrei avuto più scuse per non esplorare l’amico Appennino. Peccato che la domenica sia il mio unico giorno libero e organizzare una spedizione collettiva in montagna, se hai amici dormiglioni, è un’impresa tutt’altro che scontata. Andare da sola? No problem, se fosse per me. Peccato che il mio senso dell’orientamento sia paragonabile a quello di una mosca che non riesce a uscire dalla finestra nonostante tu le stia spalancando i vetri davanti. Diciamo che non scommetterei su di me da sola in un nuovo sentiero, ecco.
Poi siamo diventati gialli rossi e arancioni e io ho fatto giusto in tempo a vedere il giallo rosso e arancione delle foglie autunnali riflettersi sulle acque del Lago Santo che stavo quasi per abbandonare il desiderio di appenninizzarmi anche per quest’anno.
Quando è venuta un sacco di neve però io non ci ho visto più e ho deciso che era arrivato il momento di giocare di astuzia. Così un pomeriggio ho spremuto le meningi e acutizzato il mio occhio vispo e mi sono messa alla ricerca di una seconda casa montanara.
È stato molto più facile del previsto. D’altra parte, di me si dice che mi entusiasmi anche davanti a un sasso, ed effettivamente non è per nulla difficile catturare la mia attenzione. In questo caso, sono bastati un giardino vista Montecreto e una tovaglia a quadretti per farmi cedere alla tentazione. E poi, vuoi non sentire un legame ancestrale con una casa che si trova in via Le Macine? (ndr: se non ti piacciono le macine perché pensi che siano troppo pesanti, esci subito da questo blog).
E così dalla sera alla mattina e per i prossimi trecentosessantacinque giorni sono diventata ufficialmente una montecretina. Il che mi gasa un sacco perché, se già conosco poco il versante di Sestola e Fanano, di tutto quello che è Montecreto, Lama Mocogno, Pievepelago, Rio Lunato e Fiumalbo nessun segnale calma piatta. Tra l’altro, chiacchierando con la mitica Signora Pia – la proprietaria di casa – ho scoperto che da un campo poco sopra la mia casetta passa la Via Vandelli! Per i non cammini-ossessionat* come me: la Via Vandelli è un’antica via militare e commerciale che venne costruita nel XXVIII secolo per collegare il ducato estense al mare. Se la cammini tutta, quindi, dal centro di Modena verrai catapultato direttamente a Massa.
Io, con la mente, mi sto già allacciando gli scarponcini da trekking. Venite con me?
Oltre alla Via Vandelli, comunque, queste montagne sono tutte da scoprire. Mi piace pensare che l’Appennino, lasciato un po’ in disparte dal boom turistico che ha invaso le valli di altre regioni italiane, sia rimasto la culla di una Italia più integra, più lenta, più genuina, più sincera. E mi piace pensare che piano piano, negli anni ci saranno sempre più ragazze e ragazzi (non solo Italian*) che guarderanno le case di questi borghetti con occhi sognanti, fantasticando e progettando una vita appenninica già in gioventù.
Mica ci si va solo in villeggiatura estiva per sfuggire alle vampate di calore della menopausa, a Fanano!
Mercoledì mattina sono andata a piedi a Montecreto in occasione del mercato settimanale (che poi non c’era, ma vabbè). La mia casetta è a Montecreto, ma è un poco dislocata rispetto al centro storico della città – con poco dislocata intendo che per andare al mercato a piedi devi camminare in salita per più di un’ora.
Non siate pigri o, ancor peggio, non fate i frettolosi: camminare è sempre la soluzione migliore, anche quando siete in ritardo e avete un milione di cose da fare. Vi premierà sempre. Io, per esempio, mercoledì mattina mi sentivo più avventurosa del solito (anzi, avventurosa come al solito) e anziché seguire la strada asfaltata ho pensato bene di tagliare per un campo a caso. Il campo era sotto, Montecreto sopra, cosa poteva andare storto? Niente. E di fatti, tralasciando due o tre brevi istanti in cui mi sono seriamente domandata dove cavolo fossi finita, quel “campo a caso” mi ha guidata fino a un gigantesco altopiano fiorito dove mi aspettavano le sole e uniche anime vive che ho incontrato in 4 giorni passati a Montecreto: una famiglia di daini! Loro però non sembravano entusiasti quanto me e sono subito scappati via. In compenso, non che avesse molte alternative, ma è rimasto lì un troncone di castagno così cicciotto ma così cicciotto che per abbracciarlo tutto sarebbero servite almeno tre Federiche. Ho provato a domandargli quanti anni avesse, ma non ha voluto rispondere. Me ne sono subito pentita. Che maleducata! Non si chiede l’età alle signore, tanto meno alle castagne.
Chissà se anche Heidi si sente così quando va all’Esselunga.

Comunque, sono arrivata finalmente a Montecreto ma del mercato manco l’ombra. In realtà non solo del mercato: manco l’ombra di un essere vivente, esclusa la mia e quella del cassiere del supermercato. Mi sono sentita quasi sollevata. Dopo tre giorni di silenzio non so come avrei accolto il trambusto di un mercato.
Dimenticati il pesce fresco e la biancheria, allora ho deciso di optare per una passeggiata fino al Castello prima di ritornare sui miei passi. Per arrivare dalla piazzetta di Montecreto su in cima al Castello bastano pochi passi. Sono passi piacevoli, che si arrampicano fino al punto più alto del paese attraverso vecchie casette di sasso attaccate l’una all’altra. Eppure, arrampicarmi per quella stradina mi ha fatto venire una grande nostalgia. Sulle finestre della maggior parte delle case sventolava un cartello con su scritto “VENDESI/AFFITTASI”. Ma come vendesi! A Vignola facciamo a cazzotti per trovare una casa in affitto, e qui c’è un intero borghetto che chiede silenziosamente di essere vissuto.
La nostalgia è quasi subito volata via quando, giunta ormai al Castello, ho notato una freccia gialla dipinta su un muretto. La freccia gialla del Camino! Mi sono sentita a casa.
E allora, proprio come fossi a casa mia, mi sono tolta scarpe e calzini e mi sono spaparanzata sul prato a leggere un po’. Devo essere rimasta lì un bel po’ di tempo, perché il campanile ha suonato per ben due volte, ma ricordo sì e no di avere letto tre righe e mezzo. La mia mente era volata via, in un altro spazio, in un altro tempo. In un’altra Montecreto. Gironzolava tra le stesse casette da cui ero passata poco fa, ma questa volta le casette erano piene di ragazze e ragazzi che si erano appena trasferiti lì dalle loro città. C’era chi aveva aperto un bar, chi una tavola calda. Chi vendeva frutta e verdura, chi la pasta fresca. Aveva aperto una merceria, un negozio di vestiti, e anche una libreria. Poi la sera ci si ritrovava tutti nello stesso locale, o a casa di qualcun*. Erano in tant* a cantare, suonare, ballare, o a leggere poesie. Non fraintendetemi: non sto alludendo alla pubblicità dei nuovi biscotti Mulino Bianco. Lo sappiamo tutti che in montagna si beve e si mangia come se non esistessero i bottoni dei pantaloni.
Non sarebbe bello però se una ventina di noi prendesse coraggio, facesse le valigie e decidesse di stabilirsi tra gli Appennini per fondare una piccola comunità di montecretini?
Io mi gaserei un sacco. E per convincere anche voi utilizzerò non una ma ben due strategie.
Per prima cosa, qui sotto vi allego le fotografie delle casette in vendita a mo’ di Immobiliare.it. Mi sa che si leggono pure i numeri di telefono perciò al resto potete pensare voi da soli.
E poi, beh, vi aspetto a casa mia! Non fate i timidi, sarò una montecretina solo per pochi mesi.

A chi deciderà di venire a trovarmi, però, consiglio caldamente di leggere le severissime regole che mi sono permessa di imporre a chiunque varchi la soglia di casa. Ne manca una in realtà: è vietato ascoltare musica trap. Ad eccezione di Liuck 4real, ovviamente.
Hasta luego, Montecretini!
