Come da una mucca può nascere un Cammino!

Se siete sensibili a malghe, mucche e terrazzi in fiore, datemi retta: non fate il Cammino di Santiago. 

Non ne uscirete vive. 

O almeno, questo è quello che è successo a me. 

Correva l’anno 2018 ed io frequentavo il primo anno di specialistica in International Management all’Università Bocconi. Dopo tre anni di magistrale, mi iscrissi al biennio senza pensarci su due volte. Ottimi insegnanti, amichetti super, e un Campus frizzante: che cosa sarebbe mai potuto succedere di male? 

Peccato che non avessi minimamente preso in considerazione il fatto che io, in quegli ambienti di lavoro inscatolati e incamiciati in cui di solito finiscono, almeno per un po’, gli international managementini come me, non mi ci vedevo manco per un po’. Anzi, oltre a non vedermici manco per un po’, mi ci sentivo pure male. E così, di fronte a una classe di compagne e compagni che non facevano altro che parlare di stage, tirocini, Big Four e bla bla bla, a poco a poco ho iniziato a cambiare colore e a sentirmi una pecora fucsia – nera no, dai! – in mezzo a un gregge di diligenti e promettenti pecore bianche. 

Possibile che non mi fossi mai chiesta che cosa volevo veramente? 

Io al massimo ero abituata a scegliere se farmi venire il mal di pancia con 200 grammi di cacio e pepe o una vagonata di carbonara, mica a pensare a che cosa volevo fare da grande (fino ai 22 anni ho vissuto abbastanza in superficie, poi la situazione è degenerata e adesso parlo più con gli alberi che con gli umani per colpa di Stefano Bonetti, Nalu Yoga Milano, e mi sa anche tanto del Cammino di Santiago). 

Insomma, era come se tutto d’un tratto il magico mondo patinato e incantato in cui io ero una ragazza di poco più di 20 anni che faceva cose e vedeva gente a una velocità dirompente si fosse improvvisamente trasformato in un pianeta estraneo, diverso, altro da me. Non ero più la protagonista, avevo assunto un nuovo punto di vista: mi sentivo come una sottospecie di narratore esterno che mi osservava alzarsi, prepararsi, studiare, uscire, cucinare, andare in palestra, bere, mangiare, ballare e così via senza tuttavia provare la benché minima partecipazione emotiva. 

Aiuto! Come si esce da qui? 

Avevo bisogno di cambiare aria. Di abbandonare quella routine frenetica in cui non mi riconoscevo più e provare a scavare un poco più in profondità. Ma come giustificare alla mamma e al papà, ai quali sono e sarò eternamente grata per avermi fatto studiare e viaggiare, che sarei stata l’unica tra i miei amici a non trascorrere l’estate facendo uno stage? 

La solita “questa è l’ultima estate libera prima di cominciare a lavorare!” non avrebbe retto. Ci voleva una valida alternativa. 
Vacanza studio? Nah. Stagione da bagnina? Ma se sai nuotare a malapena a cagnolino. Non funzionerà. 

Aspetta, ci sono! Il Cammino di Santiago. Dirò che voglio fare il Cammino di Santiago. Tutto sommato, mi piace camminare. E poi in Spagna si mangia e si beve in quantità industriale. Non potrà che funzionare! 

E così, un po’ come tutto quello che faccio, istintivamente e un po’ acazzodicane ho deciso che l’estate del 2018 mi sarei messa a camminare. 

Secondo voi mi immaginavo che di lì a qualche km a piedi la mia vita si sarebbe scombussolata per sempre? Vi assicuro di no, ma per fortuna è andata così. 

Mentre prenotavo i voli e raccoglievo un po’ (pochissime) di informazioni, mi è venuto in mente che a Vignola, che ultimamente tra università ed impegni vari non frequentavo più così tanto, c’era un signore che da poco aveva dedicato un libro alla sua esperienza sul Cammino di Santiago. “Potrei leggerlo e utilizzarlo come guida! Che qui tutti questi siti internet mi hanno già rotto le scatole”. 

Il libro in questione, ovviamente, era SANTIAGO scritto da Giuseppe “Leo” Leonelli, che all’epoca conoscevo solo di vista. Lo compro, lo leggo, e tappa dopo tappa inizio a non stare più nella pelle. Stai a vedere che questo Cammino me ne riserverà delle belle. Si incontra pure il mare!

Cit. 

Un costume l’ho portato ma l’oceano mai incrociato: d’altra parte, Leo è arrivato a Santiago attraverso il cammino del nord, mentre io, miss svegliolin sveliolini, stavo per intraprendere l’itinerario francese. Lol

Il 12 luglio sono partita da Saint-Jean-Pied-de-Port, direzione Santiago. Il resto è storia di vita, e potrei scrivere per ore e ore, pagine su pagine, nel tentativo di spiegare che cosa 800 km a piedi possono innescare nella testa di una persona che è in grado di ascoltare. Ma preferisco di no perché, ahimè, non sono così brava con le parole e finirei per banalizzare qualcosa che, per me, è tutt’altro che banale. Un po’ come ci ricorda H. Hesse nel suo Siddharta, le parole non fanno bene al senso segreto, ogni cosa diventa subito un po’ diversa, un po’ falsata, un po’ strampalata anzi, e pur questo è un bene, anche con questo sono d’accordo, ciò che per un uomo è tesoro e saggezza, per l’altro ha sempre un tono di stoltezza. 

Stay auto-ironica e leggera, allora, Fe. Anche se di autoironico e leggero in quel periodo pre-Santiago, ricordo ci fosse davvero ben poco. 

Possiamo suddividere il mio Cammino verso Santiago in 3 fasi principali: 

  • FASE 1, PRIMI GIORNI DI CAMMINO: non avevo capito manco su che cammino stessi camminando, ma ero carica a mille e totalmente elettrizzata per la mia nuova vita tutta sesso droga e Compeed
  • FASE 2, DOPO UNA SETTIMANA DI CAMMINO E FINO A SANTIAGO: cavolo, sapete che tutto sommato mi piace proprio camminare. Che privilegio, per questa parentesi di vita, vedere trascorrere le giornate a un ritmo più lento, quello dettato dai nostri piedi. Che bello potere osservare il Mondo che cambia intorno a me, senza lasciarmi scappare neanche un dettaglio e avendo l’opportunità di toccare, annusare, parlare, chiedere, ascoltare qualunque cosa o persona capiti al mio fianco. E che strano sentirsi così leggere, nonostante quasi 8kg di zaino sulle spalle (era la mia prima volta, siate comprensivi). Forse ci si sente così, quando con sé si ha solo l’essenziale. 

E quante mucche ci sono in questo pezzetto di Spagna! Quanti prati, quante valli, quante casette curate e terrazzi fioriti, quanta vita si percepisce attraversando questi microscopici paesi e aprendosi ai sorrisi dei suoi abitanti. Microscopici paesi che, se non fosse per il Cammino, con ogni probabilità sarebbero deserti e dimenticati dal mondo. Eppure vivono, e il battito del loro cuore è il passo di un pellegrino. 

Ok ho deciso: da grande adotterò una mucca e andrò a vivere in un microscopico paese attraversato dal Cammino di Santiago! Avrò poco con me, circa l’equivalente di quattro zaini. La mia casa sarà di sasso e in ogni stagione profumerà di fiori freschi e torte appena sfornate. Qui, ogni viandante troverà cibo, sorrisi, e un bicchiere di vino rosso. Non saremo mai sole, la mucca ed io: nuove storie e nuove vite ci terranno compagnia ogni giorno, aiutandoci a rimanere aperte e consapevoli del cambiamento intorno a noi. 

Unica nota negativa: come glielo spiego ai miei genitori che dopo 5 anni di Bocconi mollo tutto e vado a vivere con una mucca? Maledettissime aspettative, vorrei proprio sapere chi ha innescato questo dannosissimo meccanismo psico-sociale per rubargli l’ultima fetta di pane e salame! 

Arrivata a Santiago ne ero certa: hospitalera, barista o allevatrice di mucche non aveva importanza. Avrei trovato il modo per vivere sul Cammino. Prima, però, dovevo finire l’università. 

Ho finito l’università e nel frattempo ho vissuto per un po’ anche in un’altra Santiago, de Chile però. Sono ritornata a casa, scegliendo di regalarmi un paio di mesi per capire dove avrei mosso i prossimi passi. Dove mi sarei trasferita insieme alla mucca.

Era Novembre, 2019. Dopo il paio di mesi di riflessione, è arrivato febbraio 2020 e con lui un “piccolo” imprevisto a stravolgere tutti i miei piani. Ma come lo è stato per Santiago, a distanza di due anni, posso affermarlo con solidità e certezza: meno male che è andata così. 

Prima che la pandemia non mi costringesse a farlo, erano anni che non passavo più di tre notti di fila nello stesso luogo e sotto lo stesso tetto. Mi pareva una noia mortale e non mi rendevo conto che, invece, si stava per aprire davanti a me la preziosa opportunità di fermarmi e pensare. Un po’ come lo erano stati gli 800 km verso Santiago, ma questa volta con meno dolori alle ginocchia e senza dover spendere un capitale in Compeed. 

I due mesi di quarantena sono stati i giorni più creativi e consapevoli di tutta la mia breve esistenza. E in loro ho riscoperto il significato del sentirsi a casa. L’importanza di avere delle radici che ci tengono ben ancorati alla Terra e ad un centro preciso, da cui spostarsi, alle volte, in cerca di nuove avventure ed esperienze, ma a cui fare sempre e finalmente ritorno. 

Mi era già capitato di sentirmi a casa nei posti più insoliti e disparati, a volte anche dall’altra parte del mondo. Si trattava però di una sensazione breve e passeggiera, destinata a svanire per lasciare lo spazio al desiderio di nuove avventure. Le radici, invece, quelle no. Sono talmente salde e profonde e parte di noi che difficilmente riusciamo a staccarvici ed è bello così. 

Insomma, a 25 anni chiusa in casa nella casa che da sempre chiamo casa, per la prima volta ho capito il significato di sentirmi a casa; tutto molto bello e poetico, se non fosse che ormai avevo fatto una promessa a me stessa: mucca malga e terrazzo fiorito! Forse forse una mucca in giardino a Vignola ce la potevo anche far stare, il problema però sarebbe inevitabilmente sorto alla prima uscita in giardino di mia nonna, che abita con me e ha paura anche delle formiche, e trovandosi faccia a faccia con la nuova coinquilina avrebbe contattato l’accalappia vacche in men che non si dica. Dovevo decisamente rivedere i miei piani e architettare un nuovo futuro roseo insieme alla mucca. 

  • FASE 3, UN CAMMINO CHE PASSA DA CASA! Assodato il fatto che il castello Disney di tre piani in cui sono nata è pressoché impossibile da spostare e le mie radici ancora di più, disegnerò un Cammino che passi proprio da qui, dai sentieri di Casa. Ci saranno così tanti pellegrini che la nonna non potrà che accettare di avere una nuova coinquilina a macchie e mammelle! 

Mi sorridono gli occhi al solo pensiero. Vedere ogni giorno gruppetti di camminatori dagli zaini colorati e i calzini spaiati arrivare alla stazione dei treni in fondo alla via di casa mia alla scoperta delle Terre di Castelli. Amore incondizionato per la “mia” Terra a parte, comunque, qui, tra Vignola, Spilamberto, Castelnuovo, Castelvetro, Marano, Guiglia, Zocca e Savignano, si alternano paesi e paesaggi di autentica bellezza: dal lungo fiume del Panaro, ai vigneti di Grasparossa, salendo fino ai Sassi di Roccamalatina e ai boschi di castagno nei dintorni di Zocca. E poi borghi, persone, tradizioni, tovaglie a quadri pronte ad ospitare abbondantissimi piatti di pasta fresca fatta in casa. Sono zone sinceramente e semplicemente belle, che spesso tuttavia conosciamo solo come territori di passaggio. Ci si ferma qui magari per un pranzo a base di gnocco e tigelle in attesa di raggiungere Firenze, o sulla via di ritorno per Piemonte e Lombardia. Invece varrebbe proprio la pena di fermarsi per un po’. 

Il Cammino, dentro di me, era praticamente già tracciato. Ma le cose belle nascono sempre dall’incontro e dall’unione di più menti, e così il destino ha voluto che incontrassi Leo. 
Oltre ad avere letto il suo SANTIAGO, mi era capitato di vederlo di sfuggita al Bar Acquarello, in cui lavorano, oltre a Leo, un bel po’ di miei amici. Il bar di Paese con i tavolini arancioni in cui incontri sempre qualcuno che conosci. In cui le voci girano, tra un Campari ed un caffè. Tizio aprirà un nuovo ristorante, Caio ha lasciato Caia e ora si vede con Tizia, Leo e la Fede rompono le scatole dicendo che vogliono tracciare un Cammino che passi per di qua

Allora non solo l’unica che sogna di vivere lungo un Cammino! Appena scoprii che oltre a me c’era un altro cuore sognatore desideroso di riempire i nostri sentieri di pellegrini e viandanti, neanche il tempo di far venir su una moka di caffè che avevo già inviato un messaggio a Leo proponendogli un incontro. Non ho mai capito questa tendenza moderna a mettersi costantemente in competizione, a ragionare per individui e individualità. Io, certamente, se avessi deciso di camminare da sola, più che un anello avrei tracciato un itinerario ingarbugliato e a zig-zag impiegandoci il quintuplo del tempo e condendolo con molte imprecazioni e ben poche soddisfazioni. Invece, in due, con non poca fatica ma tantissima passione, nel giro di un solo anno è nato il Cammino dell’Unione. Unione non solo perché è un itinerario che attraversa i territori dell’Unione Terre di Castelli, ma proprio per celebrare e ringraziare la magia e la forza dell’incontro tra sogni e persone, così come il legame che nasce tra un viandante e il territorio circostante, grazie alla lentezza e alla sensibilità che solo chi cammina è capace di coltivare e sviluppare dentro e fuori di sé

Abbiamo cambiato il percorso circa diecimila volte. Mentre scrivo è il 24 aprile ed il Cammino non è ancora stato inaugurato – partiremo il prossimo 27 aprile ­– ma noi lo abbiamo già camminato almeno cinque volte. E quasi quasi mi rattrista il pensiero che una volta segnato e consegnato a chiunque lo vorrà, questa avventura in un certo senso finirà. Alzarsi prestissimo la mattina per riuscire a tracciare un’intera tappa entro mezzodì, che poi si deve correre sotto la doccia e catapultarsi a lavoro entro le 13:30. Imbrattare tutti i paletti possibili e immaginabili di adesivi del Cammino, disegnare frecce color rosso Lambrusco lungo il sentiero, immaginando di confortare i pellegrini di quella indescrivibile sensazione di avere imboccato la direzione giusta. Ma non temete: anche dopo l’inaugurazione non sarà finita lì. Non abbiamo ancora le tracce GPS del Cammino ufficiale che già stiamo pensando a quali varianti tracciare. Quando vi dicevo che è una malattia. 

Non entrerò nei dettagli più pratici del Cammino perché per quello ci sono un sito internet, una pagina Facebook e un profilo Instagram da consultare, ma insomma il succo è che in un solo anno, con quattro gambe acciaccate e un unico grande sogno in mente, siamo riusciti a tracciare un percorso ad anello che in poco più di 100 km e 5 tappe porterà pellegrini e viandanti alla scoperta delle Terre di Castelli. È un misto di paura ed emozione, vedere il proprio progetto prendere vita e assumere a poco a poco una sua conformazione. A chi ascolterà la nostra storia, spero possa essere trasmessa la speranza e la convinzione che sognare in grande è possibile e fattibile, perché sognare in grande mica significa per forza progettare grattacieli e diamanti. Significa anche e soprattutto desiderare che i piccoli borghi di compagna e montagna continuino a vivere e resistere. Che i fiori sui balconi siano freschi, i bar aperti e pieni di persone. E avere una mucca come coinquilina con cui fare colazione ogni mattina! 

L’augurio è di riempire i nostri sentieri e paesi di una ricchezza diversa rispetto a quella che ci descrivonoo con grafici e tabelle sui giornali. La ricchezza che chi cammina a piedi, con sensibilità e generosità, è in grado di restituire alla terra che passo dopo passo la accoglie. Così forse, tra qualche anno, anche i terrazzi di Denzano e Montecorone saranno sempre in fiore. Camminare è rivoluzione. Contro la velocità della società. Lontano dalle distrazioni della città e a contatto con una vita più semplice ed autentica. Magari non lo si può fare per tutta la vita, ma di tanto in tanto è una medicina più efficacie di Oki e Aspirina. 

A chi come me abita già qui, che questo Cammino vi faccia sentire a casa. 
A chi non è mai stato qui, che vi accolga con sincerità e semplicità

E se vi capita di beccare una mucca in cerca di compagnia, lasciatemi un massaggio in segreteria!

Una opinione su "Come da una mucca può nascere un Cammino!"

  1. Grazie di questo racconto bellissimo, mi ha fatto sentire un po’ meno sola in questa sorta di “ribellione” contro la società, la superficialità e il materialismo. Spero di riuscire a capirmi sempre più come è successo a te, forse mi farebbe proprio bene un cammino!

    A domani 🙂

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